Come è cambiata la tassa
Il decreto arrivato nell’aula del Senato contiene una misura parecchio diversa rispetto a quella promessa e annunciata. Da un lato le banche potranno scegliere di non pagare la tassa, ma in questo caso dovranno destinare un importo pari a due volte e mezzo il suo valore per rafforzare il proprio patrimonio. Se le banche dovessero usare questa sorta di riserva per distribuire utili, pagherebbero una penale. Dall’altro lato è stata aumentata dallo 0,1 per cento allo 0,26 per cento l’importo massimo che potrà essere versato, calcolato sugli attivi, escludendo però i titoli di Stato. Eventuali oneri maggiori per le banche non potranno essere scaricati sui servizi pagati dai clienti: su questo punto vigilerà l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm, nota con il nome di “Antitrust”).
«Credo che la versione finale sia una grande operazione di politica industriale e bancaria, e al termine della quale probabilmente le banche italiane saranno tra le più solide d’Europa», ha dichiarato il 27 settembre durante una conferenza stampa il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, commentando le modifiche al testo.
Durante la stessa conferenza stampa Giorgetti ha risposto alle critiche di chi accusa il governo di aver fatto marcia indietro sul provvedimento. «Facendo riferimento alle cosiddette “retromarce”, il governo non ha mai previsto e non hai utilizzato per i saldi di finanza pubblica, né nella prima versione né nella seconda, il gettito dell’imposta sulle banche», ha detto il ministro dell’Economia e delle Finanze. Nelle ultime settimane vari esponenti di primo piano del governo avevano comunque difeso la tassa sugli “extraprofitti”. Per esempio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel suo libro-intervista La versione di Giorgia, uscito il 12 settembre, ha difeso l’imposta nella sua versione originaria, definendola una «cosa di destra», che interviene «su un margine ingiusto realizzato in questi mesi dagli istituti di credito».